Il Salento che vi raccontano
Quando tornai al mio paese nel Sud,
dove ogni cosa, ogni attimo del passato
somiglia a quei terribili polsi dei morti
che ogni volta rispuntano dalle zolle
e stancano le pale eternamente implacati,
compresi allora perché ti dovevo perdere:
qui s’era fatto il mio volto, lontano da te,
e il tuo, in altri paesi a cui non posso pensare.
Quando tornai al mio paese nel Sud
Io mi sentivo morire. (V. Bodini)
Più passa il tempo e più vedo questa terra svenduta al miglior offerente per farci campagne elettorali perenni, strategie di marketing vuote come ceste della legna in estate, ascolto gente che parla di questo come di un posto magico dove ha ritrovato il vero sé, il sud primitivo che gli ha permesso di fare pace con l’io bambino.
Io mi chiudo nelle poesie di Bodini, leggo de Martino e penso sempre a mio nonno che vi direbbe che siete pazzi scatenati. Lui non ve lo direbbe, ve lo dico io. Vi dico che questa è una terra disonesta, assassina, infuocata, fatta di psicodrammi ancestrali che nessuno ha mai disinnescato. È una terra dove devi lavorare mille per vederti riconosciuto cento e poi rubato anche quello, è una terra che punge i piedi scalzi e arde la pelle. Le masserie non sono posti dove la gente passava le estati oziose a contare i passeri, erano posti in cui si consumavano sfruttamento, stupri, dinamiche familiari sporche. Oggi se ne consuma una versione rinnovata. La gente non andava a mare a prendere il sole, il mare era un danno se non dava pesce. Le donne erano punte dalla taranta del tormento, della vergogna, del totale assoggettamento a una vita non vita.
Questo non è il posto spensierato che vi hanno raccontato i milanesi che hanno scelto di cambiare vita a 60 anni, dopo aver abbandonato il posto da amministratore delegato con i milioni nella dichiarazione dei redditi e la casa di riserva al nord quando le strade si fanno deserte e la sensazione di essere alla fine del mondo è forte come una tempesta in mare. Qui chi fa i soldi diventa spietato, folle, accecato dallo spauracchio della fame che non vuole si ripresenti più nemmeno nei sogni. Tenta di scacciare un fantasma che fa capolino comunque, beffardo, puntuale in un giovedì qualsiasi di fine gennaio.
Ci hanno raccontato tante storie, per paura di perderci e poi ci hanno perso comunque. Ci hanno parlato del riscatto da trovare altrove, ci hanno detto di farci belli perché ci venivano a trovare i parenti dalla Svizzera, i fratelli del nord che si erano scordati che cosa avevano lasciato. Abbiamo fatto a gara a chi fingeva di più e ci siamo riusciti per un lungo pezzo.
Stanno iniziando a cadere le maschere, o forse siamo noi che cominciamo a riconoscerle. Dobbiamo scendere a patti o continueremo per sempre a compiacerci di una bellezza inutile, destinata a sfiorire.
Foto scattata sabato mattina all’alba al Faro di Punta Palascìa