Se la vita ti dà angurie, tu fatti un bel succo di frutta!
L’Italia, sottolinea il nono Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa, da circa un decennio è tornata a essere terra di emigrazione: in dieci anni ha perso quasi 500 mila italiani (saldo tra partenze e rientri di connazionali). Tra questi, quasi 250 mila giovani (15-34 anni). Considerando le caratteristiche lavorative dei giovani in Italia, la Fondazione stima che questa “fuga” ci sia costata 16 miliardi di euro (oltre 1 punto percentuale di Pil): è infatti questo il valore aggiunto che i giovani emigrati potrebbero realizzare se fossero occupati nel nostro paese.” (fonte Il Sole 24 ore)
Questo è quello che si legge sul nono rapporto presentato poco più di 24 ore fa a Palazzo Chigi: Italia paese più anziano d’Europa, il lavoro motivo prevalente dell’emigrazione, i giovani partono in prevalenza da Lombardia, Veneto e Sicilia, Londra la meta più ambita, crescente declino demografico della popolazione, presenza stabile di più di 5 milioni di stranieri, 9% del Pil prodotto dai lavoratori immigrati.
Ieri è stata una giornata no a cui è seguito quest’articolo che a livello (più o meno) inconscio andava a rafforzare esattamente queste premesse. Dopo aver letto questo pezzo e aver passato gli ultimi tre anni della mia vita ad ascoltare sogni infranti, disillusi, rimaneggiati di giovani alle prese con il mondo del lavoro e dell’autoimpresa ho pensato: “ecco vedi, i dati non mentono. Possiamo anche sbatterci senza dormire la notte ma la situazione è sempre peggio!”. Ho continuato con l’autosabotaggio tutto il giorno, saltando con i pensieri di palo in frasca fino all’ultimo discorso fatto con un’amica venerdì sera: “Serena, se non va in porto nemmeno questa io me ne vado.”
“Non a Milano, me ne vado direttamente a Londra!”
Ho pensato a tutta questa roba qua facendo consciamente finta di non pensarci perché formalmente ho lavorato. Mentre buttavo giù le domande per un’intervista il macinino però lavorava nella testa e così ha continuato per tutto il giorno fino a quando non sono andata a letto, finalmente. Mi sono messa a leggere un testo per pensare a una programmazione utile alle attività di un gruppo di preadolescenti, e mentre leggevo nel sottobosco dei pensieri mi frullava sempre lo stesso pensiero: “ma a cosa serve mettere in campo tutte queste competenze nei più svariati ambiti quando il riconoscimento te lo devi costruire da solo, la strada te la devi costruire da solo, sulle idee ci devi sempre scommettere da solo?”.
Vi state chiedendo se ieri è stato il giorno dell’inutile? Sì. Uno di quei giorni in cui se mi avessero detto: vieni al comune di Moncenisio perché cercano un addetto all’ufficio tributi ci sarei andata di corsa. Giorni che poi, menomale, passano e che mi alleno sempre più spesso a tenere lontani grazie a un antidoto: sottoporre all’attenzione del mio cervello elementi di positività, circoscrivendo l’area negativa a sporadici momenti non direttamente dipendenti dalla mia volontà. Tant’è che questa mattina mi sono svegliata e mi sono chiesta:
Ma quelli come Bartolomeo nelle statistiche ci sono?

La storia di Bartolomeo l’ho ascoltata sabato e già ieri i numeri l’avevano obnubilata: è possibile? Sì, è possibile perché il cervello si nutre dei discorsi che sente e io ne avevo sentiti un bel po’ che mi avevano destabilizzata. Allora ho raccolto di peso il racconto di Bartolomeo e l’ho fatto presente al mio cervello. Il protagonista di questa storia è, per il sentire comune, un eroe perché ha 30 anni, è del Sud e vuole fare i conti con la sua storia personale. Insomma, una vera iettatura in questo periodo storico!
Bartolomeo, giovane imprenditore agricolo di Gioia di Colle a Bari, ha un’azienda agricola a Palagiano (TA) che si occupa della coltivazione di frutta tra cui le famose angurie. Le angurie, vittime predilette del caporalato, vengono pagate a un costo talmente basso che ne è addirittura sconsigliata la raccolta perché non si arriverebbe a retribuire adeguatamente la manodopera.
Bartolomeo sa tutto questo e spesso monta in sella alla sua bicicletta per andare a portare delle angurie ai suoi nipoti. Un giorno incontra per strada un amico che fa jogging, gli chiede di assaggiarne una fetta al volo. Da qui l’idea: un architetto mancato – ma secondo me poi non più di tanto, votato alla facoltà di agraria che prende la decisione di fare la differenza nella storia aziendale della sua famiglia e, un po’ come si faceva quando da piccoli lo zio ci comprava le patatine di nascosto ma ci diceva di non dirlo alla mamma, compra un sidecar e lo mette nel garage di un amico.
“Cosa ce ne facciamo di 2 euro a fetta?”
L’idea di Bartolomeo è ambiziosa, soprattutto per un’azienda come la sua che si occupa di vendita all’ingrosso. La domanda più ricorrente della sorella, responsabile della contabilità, è infatti: “Bartolomè, ma cosa ce ne facciamo di 2 euro a fetta?”. Sì, perché lui vuole realmente prendere le angurie e venderle a fette con il suo sidecar itinerante. La risposta più comune di fronte a quest’idea si può facilmente immaginare, una per tutte: “è meglio che ti metti a lavorare seriamente!”
Bartolomeo si mette infatti a lavorare seriamente e decide di stare a sentire solo la sua voce, e lo capisco perché arrivati a una certa età non si può pensar di dar retta continuamente a tutti: giornali, genitori, amici, società. A volte il cervello è l’unico spacciatore di speranza e bisogna decidere di ascoltarlo. Così decide di lanciarsi in una serie di eventi di rilevanza regionale e nazionale pagando anche importanti fee d’ingresso per ottenere visibilità e intercettare luoghi molto affollati. Esperienze non facili, a tratti fallimentari perché non sempre è possibile calcolare tutti gli imprevisti a monte. Tant’è che per esempio in un’occasione in particolare Bartolomeo arriva a lasciare la macchina accesa per mezza giornata pur di tenere al fresco le angurie che, senza l’elettricità che gli era stata malamente accordata, sarebbero finite al macero. Di queste esperienze in realtà Bartolomeo ne ha a pacchi da raccontare.
Cos’ha fatto la differenza nella storia di Bartolomeo?

Non lo so, sicuramente la sua mentalità dinamica. Ha preso il fallimento di un momento e l’ha rilanciato avanzando una richiesta di più ampio respiro: cosa ne sarebbe del mio progetto se provassi a parlarne con la direzione dell’Aeroporto di Bari? Bartolomeo sarebbe potuto tornare a casa imprecando e buttando tutto all’aria, dando conferma alla sorella e al padre dei loro calcoli esatti. Ma così non è stato: Bartolomeo e il suo Smile Watermelon (che adesso sta diventando anche Smile Grapes) hanno ottenuto l’incontro con la direzione e la postazione in aeroporto per i tre mesi estivi di quest’anno, fino allo scorso 15 settembre.
Il sidecar è stato adattato alle norme haccp dell’aeroporto, le angurie del suo orto sono finite a fette in un packaging studiato ad hoc per non sporcare, gli estratti di anguria fresca che arriveranno in recipienti ad alto impatto ambientale sono fatti al momento e di tutto questo possono goderne davvero in tanti: frequent flyer che viaggiano in business class, turisti stranieri in vacanza, avventori di passaggio.
Cosa c’entra questo con il rapporto annuale del Sole 24 ore?
Bartolomeo per tre mesi ha passato la sua vita in aeroporto insieme a Federica la sua ragazza, conciliando questa pazza idea con gli orari dell’azienda e con la sistemazione del materiale per il giorno dopo. Ha ottenuto la riconferma dall’aeroporto per il prossimo anno passando da 3 a 6 mesi di permanenza. È stato messo in contatto con la direzione di altri aeroporti d’Italia perché la sua idea è fresca, genuina, sa di speranza e parla di chi vuole avere un peso nelle statistiche.
Cosa c’entra tutto questo con il rapporto annuale pubblicato dal Sole24 ore? Lo chiedo a voi, io intanto ho messo giù questo pensiero pop per ricordarmene nei giorni no che ogni tanto capitano. E quando vado a parlare con i preadolescenti. E quando scelgo di non fare, dire, pensare qualcosa perché tanto non serve a niente.
Quando dimentico di ribellarmi. Di rado, ma accade.